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ecommerce

Scenario

eCommerce B2c Italia: i dati di Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano

In collaborazione con Netcomm, i dati che presentano lo scenario dell’eCommerce B2c in Italia: settori in crescita, modalità di acquisto, Export e previsioni future.

Quali sono i dati dell’ecommerce B2c nel 2018? 

Ebbene, secondo l’ultimo rapporto da Smartphone dei Dati Oss. eCommerce B2c Netcomm del Politecnico di Milano, in Italia l’eCommerce B2c supera i i 27,4 miliardi di euro. Questo dato riporta quindi un aumento del 16% rispetto al 2017. L’indagine riporta risultati molto positivi: l’acquisto online è un comportamento che gli italiani scelgono e adottano sempre di più, per questo i prodotti venduti sul web crescono di anno in anno, arrivando a contare circa 3 miliardi di euro negli ultimi 12 mesi.

Infatti, se il mercato online cresce riportando un aumento del 25%, ciò è dovuto anche al raggiungimento del 56% dell’ecommerce B2c nel suo complesso.

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Settori in crescita e la situazione sull’Export

Quali sono i settori in crescita, cioè quelli che hanno registrato un aumento del proprio mercato online?

In primo luogo, il settore Informatica ed Elettronica: rispetto allo scorso anno ha registrato un + 18% e la percentuale è in netta crescita.

Lo stesso vale per i settori Abbigliamento, Food & Grocery e Abbigliamento e home Living, che hanno riportato rispettivamente una crescita del +20%, del +34%, e del + 53%.

Inoltre, cosa riporta il tasso di penetrazione degli acquisti online sul totale retail? Anche in questa caso, la crescita è netta: si passa dal 5,7% del 2017 al 6,5% del 2018, con i prodotti al 5% e i servizi addirittura al 10%. Se infine i servizi vantano un + 6%, contando su 12 miliardi , il settore Turismo ne registra 9,8 (miliardi), contando su + 6%.

Una curiosità sulle modalità di acquisto? Cresce il numero di persone che effettua ordini tramite smartphone, registrando un + 40% rispetto ai dati del 2017. In risultati economici si tratta del raggiungimento di 8,4 miliardi di euro. Infatti il 31% dell’eCommerce avviene attraverso il mobile, interessando soprattutto settori come abbigliamento e food & grocery, mentre per i servizi (trasporti e turismo), vista la complessità delle procedure, gli italiani preferiscono il desktop.

Anche l’Export fa la sua parte. Quando accenniamo all’export si intendo le vendite da siti italiani, effettuati per da consumatori stranieri. Il nostro mercato, grazie a visibilità, qualità e promozione non ha eguali: gli stranieri che scelgono prodotti italiani rappresentano il 16% del mercato complessivo, che in cifra valgono 3,9 miliardi di euro. Qual è il settore trainante? Senza dubbio quello dell’Abbigliamento, che costituisce i due terzi dell’Export di prodotto.

La richiesta di prodotti italiani all’estero, come prevedibile, è alta e cresce sempre di più. Ma purtroppo, nel nostro paese esistono ancora ostacoli come complessità operative e legislative.

Le aziende italiane sono consapevoli delle loro potenzialità, ma ciò che manca più di tutto è un modello unico di riferimento per operare in maniera efficace online, in un Paese straniero. Ben vengano quindi iniziative di aggregazione e coordinamento di più imprese italiane con lo scopo di  valorizzare l’Export digitale verso mercati di settore.

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Il convegno “eCommerce B2c in Italia: cresce il mercato, ma aumenta il valore?

Lo scenario preciso e puntuale, dal quale ci avvaliamo per dati e grafici a supporto, è stato presentato lunedì 15 ottobre dall’Osservatorio eCommerce B2c, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Netcomm. Il convegno, dal titolo “eCommerce B2c in Italia: cresce il mercato, ma aumenta il valore?”, ha mostrato come il processo di crescita dell’ecommerce abbia favorito alcuni settori, e rallentato la crescita per altri, come e perché stia crescendo il mercato, quanto sia stata preservata la qualità del servizio.

L’edizione 2018 dell’Osservatorio eCommerce B2c è realizzata con il supporto di numerose realtà leader nel settore: da Accenture Interactive, PwC; Alpenite, Axerve, BRT Corriere Espresso, DHL, Drop | e-business provider, eBay.it, GreenRouter, Intesa Sanpaolo, Milkman, Nexi, Nexive, PayPal, Poste Italiane, SAP Customer Experience; GLS Corriere Espresso, GS1 Italy, Keros Digital, fino a Mastercard, PAYBACK, STEF Italia e Stiva.

Al convengo hanno partecipato personalità di rilievo, come Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. Ha infatti affermato che

“Nel 2018 il valore degli acquisti online a livello mondiale dovrebbe superare i 2.500 miliardi di euro (+20% rispetto al 2017). La Cina si conferma il primo mercato, con oltre 1.000 miliardi di euro (+19% rispetto al 2017) e un tasso di penetrazione dell’online sul totale retail pari al 18%. Seguono gli USA con 620 miliardi di euro (+12%) e 17% di penetrazione e l’Europa con 600 miliardi di euro (+12%) e 10% di penetrazione. In Europa, l’Italia è ancora lontana dai principali mercati eCommerce (Francia, Germania e Regno Unito). Lo sviluppo del nostro mercato deve passare in prima battuta dal potenziamento nell’offerta del Food&Grocery, la prima voce di spesa nel paniere degli acquisti degli italiani. Nonostante l’ingresso di diversi player locali e internazionali in questo settore, l’offerta non ha ancora la capacità di garantire una copertura territoriale capillare: oggi 4 italiani su 5 non possono ancora effettuare online la spesa da “supermercato” con un adeguato livello di servizio.”

Se per Perego è quindi fondamentale ampliare la copertura territoriale dei servizi nel nostro paese, Roberto Liscia, Presidente Netcomm, punta il dito sull’apertura delle imprese italiane al digitale:

“Nel mondo vi sono quasi 2 mld di persone che comprano online e in questo contesto negli anni passati l’Italia è rimasta in ritardo nel servire il mercato globalizzato. Questa lentezza ha fatto sì che l’export dei nostri prodotti attraverso il canale digitale perdesse punti, limitandone così la crescita. Il 2018 è sicuramente un anno di svolta per le imprese italiane che hanno deciso di cambiare drasticamente il loro atteggiamento nei confronti del digitale e hanno tutte iniziato sia a investire in tecnologie online sia a servire i clienti digitalmente attraverso i canali fisici. Questo cambio di paradigma ci porterà dei sicuri benefici economici e industriali di cui oggi si vedono soltanto le prime avvisaglie. La possibilità di sfruttare il grande valore del nostro marchio Made in Italy per una platea globale ci porterà a considerare in maniera diversa il sistema competitivo con cui confrontarci nei prossimi anni. Molte imprese italiane, inoltre, hanno ben compreso che i loro clienti sono già entrati in una fase di totale digitalizzazione attraverso l’uso di diversi strumenti tecnologici. Di conseguenza anche la distribuzione fisica, che rappresenta per l’Italia un fiore all’occhiello, può essere ulteriormente valorizzata innestando quelle tecnologie che possono accrescere esperienzialità e personalizzazione del cliente italiano e internazionale, anche in relazione al rapporto costruito col territorio e con i centri della cultura e dello shopping.”

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L’evoluzione del mercato e le previsioni per il 2019

Riccardo Mangiaracina, Responsabile scientifico dell’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm Politecnico di Milano, mostra invece le differenze di servizio e risultati nel contesto territoriale italiano, sottolineando ancora una volta la sproporzione di risultati tra Nord e Sud Italia.

“L’incremento dell’eCommerce italiano è frutto di dinamiche differenti. Da un lato i prodotti continuano a crescere con un ritmo sostenuto (+25%), spinti dagli ottimi risultati di diversi comparti, alcuni dei quali emergenti. Dall’altro lato ci sono i servizi che, entrati in una fase di maturità, hanno rallentato la crescita (+6%). I prodotti, i cui acquisti online valgono 15 miliardi di euro, generano nel 2018 circa 260 milioni di spedizioni. La distribuzione geografica dei flussi logistici evidenzia una maggiore concentrazione dell’eCommerce al Nord, con il 56% dei volumi, mentre al Centro e al Sud, con le isole, abbiamo il 23 e il 21% rispettivamente”.

Oltre ai settori già citati come Abbigliamento, Arredamento e Home Living, e Food & Grocery, una percentuale di cresciuta riguarda anche il settore Ricambi auto, che avviene tramite acquisto online di pezzi di ricambio e di pneumatici, raggiungendo un valore complessivo di 652 milioni di euro (+29%), come quello del Beauty, che grazie all’acquisto di profumi e cosmetici ha raggiunto un valore di 435 milioni (registrando +31%), e infine i Giocattoli, con la cifra di 514 milioni ( registrando + 48%).

Nei servizi, anche il settore Turismo e trasporti riporta risultati entusiasmati con 9,8 miliardi di euro, si conferma infatti il primo comparto dell’eCommerce italiano.

Valentina Pontiggia, Direttore dell’Osservatorio eCommerce B2c, è intervenuta mostrando le differenze ancora evidenti tra i diversi comparti merceologici:

“Il tasso di penetrazione degli acquisti online sul totale retail, grazie alla crescita più sostenuta rispetto al canale fisico, guadagna anche quest’anno un punto percentuale, raggiungendo il 6,5%: l’eCommerce, pur avendo un peso assoluto ancora ridotto, si sta appropriando quasi integralmente dell’aumento dei consumi. La penetrazione media passa dal 4% (2017) al 5% (2018) nei prodotti, mentre si avvicina al 10% nei servizi. Rimangono significative le differenze tra i diversi comparti merceologici: si passa dal 34% nel Turismo e trasporti e dal 24% nell’Informatica ed elettronica allo 0,8% nel Food&Grocery. Nel mezzo troviamo Assicurazioni, Arredamento e home living, Abbigliamento ed Editoria con penetrazioni comprese tra il 5% e il 15%”. 

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Scenario

eCommerce: in Italia solo una minima percentuale dei visitatori finalizza l’acquisto online

Il 43,9% degli utenti esce dalla pagina del portale eCommerce pochi secondi dopo l’accesso, il 42,8% lascia il sito durante la navigazione e la ricerca del prodotto e un ulteriore 11,7% degli utenti abbandona il carrello senza finalizzare l’acquisto. Oggi La nuova sfida per i merchant è convincere il nuovo consumatore, evoluto e multi-device

Scarsa usabilità o mancanza dei prodotti desiderati. Sono queste le principali ragioni per cui l’utente abbandona il sito di eCommerce e, purtroppo, lo fa in massa: il conversion rate, ossia la percentuale di visitatori che completa l’ordine di acquisto, è pari solamente all’1,6%. E’ questa la fotografia scattata dall’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm – School of Management del Politecnico di Milano. La ricerca, presentata a Milano presso il Campus Bovisa in occasione del Convegno “eCommerce B2c: piattaforme e strumenti per aumentare le vendite”, si presenta particolarmente interessante poiché analizza le prime fasi della catena del valore dell’eCommerce, ossia le attività volte a generare interesse nel consumatore e a convertire questo interesse in acquisto. Ma vediamo più in dettaglio i risultati emersi:

L’evoluzione del mercato eCommerce italiano

Nel 2018, i merchant italiani investono il 4% del proprio fatturato online in advertising. Il canale online attrae il 77% dell’investimento, mentre i media tradizionali (TV, carta stampata, radio) il restante 23%. Per quanto riguarda i formati, la spesa online rimane focalizzata su soluzioni di search advertising (50% dell’investimento). Segue il display advertising (42%), principalmente nelle componenti banner (19%) e social (20%) e poco nella componente video (3%). Quest’ultima, nonostante la bassa incidenza relativa, continua a essere in forte crescita anche grazie alle numerose innovazioni tecnologiche a disposizione dei merchant. Infine, la quota degli investimenti nell’email marketing è pari all’8%”.convertire-l'interesse-del-consumatore-in-acquisto-keyformat

Venendo ai device, la spesa in advertising online rimane ancora prevalente su Desktop (59% del totale). Lo Smartphone però continua a crescere passando dal 35% nel 2017 al 37% nel 2018. Questo incremento, che non ricalca lo spostamento già avvenuto dell’audience sul Mobile, è stato possibile grazie all’arrivo di formati più consoni al mobile e al miglioramento delle modalità di misurazione delle visualizzazioni. Rimane marginale il Tablet (4%), ormai confinato, anche nella percezione degli investitori, a una nicchia.

Il tasso di abbandono del carrello durante il customer journey

Studiando il comportamento dei consumatori attraverso il tasso di abbandono nelle diverse fasi del customer journey emerge che il 43,9% di essi abbandona la pagina pochi secondi dopo l’accesso (bounce rate). Sono invece pari al 42,8% gli utenti che lasciano il sito durante la navigazione e la ricerca del prodotto (research abandonment rate). Nella fase successiva, ossia quella di checkout, l’11,7% degli utenti abbandona il carrello senza finalizzare l’acquisto (cart abandonment rate). Ne consegue che il conversion rate medio, cioè la percentuale di visitatori che entra nel sito e completa l’ordine di acquisto, è pari all’1,6%.

Tuttavia tale valore può variare anche significativamente in funzione di differenti parametri. Innanzitutto il comparto merceologico: i settori del Food delivery o dell’Editoria hanno cart abandonment rate più bassi rispetto a quelli del Turismo o dell’Informatica e elettronica di consumo poiché i beni di consumo sono più standard e meno costosi e quindi più “adatti” all’acquisto online. Rilevanti sono anche la tipologia di iniziativa – un sito di “flash sales” ha solitamente un cart abandonment rate minore perché il modello a tempo e l’elevato sconto favoriscono l’acquisto di impulso – e del device utilizzato – è notorio come in piccolo schermo dello smartphone si presti meno a convertire gli acquisti rispetto al Desktop.

La scelta della piattaforma più adatta (tra oltre 100)

In Italia si contano più di 100 piattaforme eCommerce attive sul mercato e la scelta dei merchant è fortemente condizionata dagli obiettivi da perseguire e dalle risorse (denaro, persone, competenze) disponibili. Analizzando le tendenze in quest’ambito, ci si attende un’evoluzione verso un approccio omnicanale, che integri la piattaforma e i relativi database con tutti gli altri sistemi informativi aziendali. Si prevedono, inoltre, un più deciso passaggio a soluzioni in cloud, l’integrazione del motore ecommerce con specifici moduli software costruiti ad hoc per l’online e l’adozione di un approccio più aperto, cioè basato su applicazioni/sistemi che comunicano tra di loro tramite API, per passare a un’architettura più flessibile.

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Scenario

L’ecommerce nel 2018: presente in crescita e futuro che parla cinese

Come ogni anno Casaleggio Associati ha proposto il report sulle condizioni e sulle evoluzioni del commercio digitale nel mondo. A seguire i principali dati emersi dalla ricerca con particolare riferimento all’Italia

Ti accorgi che la storia della vendita online è diventata una cosa seria quando invece di aspettare il pacco da giù il fuorisede che studia a Milano preferisce fare la spesa da Cortilia che tanto la verdura è buona uguale. E l’ecommerce ormai è una cosa seria, serissima se si considera che lo scorso anno 1,79 miliardi di persone nel mondo hanno effettuato almeno un acquisto online (il 60,2% degli utilizzatori di Internet e il 26,8% della popolazione mondiale) per un valore di 2.290 miliardi di dollari, il 23,2% in più rispetto al 2016, pari al 10% del totale del valore delle vendite retail. Numeri da mal di testa che secondo il report “Worldwide Retail and Ecommerce Sales” di eMarketer sono destinati a salire fino al 2021, raggiungendo quota 16% nella penetrazione totale nel retail, per un valore pari a 4.479 miliardi di dollari. Al momento Cina e Stati Uniti continuano a essere i leader del mercato ecommerce globale, rappresentando il 69,1% della torta con un fatturato pari a 1.584 miliardi di dollari nel 2017, +18% rispetto al 2016. L’area Asia-Pacifico rimane il più grande mercato ecommerce mondiale, guidata dalla Cina che si conferma il più grande mercato ecommerce del mondo – il Paese produce da solo circa l’83% delle vendite dirette ecommerce dell’area Asia-Pacifico, per un valore stimato a circa 1.119 miliardi di dollari nel 2017. A seguire gli Stati Uniti che nel 2017 hanno fatturato 409 miliardi di dollari per le vendite dirette (+14% rispetto all’anno precedente).

La leadership di Amazon e Alibaba

Non a caso i due player più importanti del settore, Amazon e Alibaba, provengono da questi due Paesi: nel 2017 i due colossi hanno transato complessivamente 1,1 triliardi di dollari (CBinsights 2018). Oltre che sui mercati consolidati –  Nord America e Europa per Amazon, Cina per Alibaba – la sfida si gioca tutta nell’area Asia-Pacifico, dove entrambi gli attori hanno aumentato gli investimenti strategici non solo rispetto all’online ma anche nel retail fisico, con un interesse particolare verso i settori di food e fashion. Negli ultimi due anni Alibaba ha investito circa 8 miliardi di dollari nel retail offline: dopo l’assorbimento di LAZADA, per un totale di 4 miliardi di investimenti, e del rivenditore online di generi alimentari Redmart nel sud est asiatico, in Cina il gruppo guidato da Jack Ma ha puntato tutto sul concetto di New Retail finanziando il Gruppo Sun Art Retail (RT-Mart e Auchan), il più grande operatore di supermercati e ipermercati locale, nonché sul delivery food di Ele.me, sulla catena di lusso di centri commerciali Intime e sull’indiana Zomato (Zomato raises $200 million from Alibaba’s Ant Financial, The News Minute 2018). Amazon invece, dopo l’acquisizione della catena di supermercati bio Whole Foods per 13,7 miliardi di dollari nel 2017 e di Souq.com (l’Amazon del Sud-Est Asiatico) e alla ricerca di un altro partner, questa volta internazionale, in ambito food su cui investire. Inoltre ha puntato sull’apertura di store fisici negli Stati Uniti e sta pianificando aperture anche in Germania. In India, al momento, non è andata come previsto e Walmart è riuscita ad aggiudicarsi l’acquisizione di Flipkart, il più importante ecommerce indiano.

L’evoluzione dell’ecommerce europeo

In Europa il valore dell’ecommerce è stimato a 602 miliardi di euro nel 2017, il 14% in più rispetto al 2016. Il numero di persone che effettua acquisti online nel vecchio continente e pari a 324 milioni (il 68% degli utenti internet europei) e il mercato online delle vendite al dettaglio è stimato 267 miliardi di euro nel 2017, in crescita del 10% rispetto al 2016. I Paesi dell’area che hanno visto crescere il mercato dell’ecommerce più velocemente negli ultimi cinque anni sono Olanda e Italia, e si prevede un’ulteriore crescita del 14% ogni anno fino al 2021. Il ticket medio europeo è pari a 826 euro per utente, spesa che prevede un aumento a 873 euro per il 2018 (Statista 2018). A dominare la scena europea dell’ecommerce Regno Unito, Germania e Francia che da sole generano il 70% del fatturato ecommerce europeo (European B2C Ecommerce Report, 2017). Gli aspetti normativi continuano a giocare un ruolo determinante nell’evoluzione del mercato europeo del commercio digitale, in particolare, nelle vendite internazionali. Dopo la normativa 2015 sull’applicazione dell’IVA del Paese di provenienza per la vendita di prodotti e servizi digitali, è stata di recente introdotta la EU VAT area, al fine di semplificare la gestione e ridurre i costi relativi alla vendita di prodotti cross-border all’interno dell’UE. Questa misura modificherebbe l’attuale procedura di registrazione dell’Iva in ogni Paese europeo a favore di un’unica registrazione e tassa da pagare direttamente all’UE e presuppone un risparmio per le aziende di circa 2,3 miliardi, nonché un aumento di introiti per gli stati membri di circa 7 miliardi. Queste regole entreranno in vigore nel 2019, altre nel 2021. Grande attenzione è ovviamente rivolta anche al tema della protezione dei dati e al GDPR, applicabile dallo scorso 25 maggio 2018. Contestualmente all’adozione della Brexit, si è poi legiferato contro il geoblocking relativo ai siti di ecommerce europei: gli acquirenti online avranno un accesso totale a prodotti e servizi cross-border, senza blocchi e senza essere ridirezionati su siti locali, a esclusione di alcune categorie merceologiche come i contenuti protetti da digital copyright, quali ebook, musica e giochi online. I clienti europei dovranno dunque essere trattati esattamente come i clienti nazionali; i beni dovranno essere spediti alle stesse condizioni di consegna del Paese di provenienza oppure dovrà essere fornito il servizio di ritiro presso un luogo concordato se il venditore prevede questa possibilità. Si intensificano anche le misure rivolte a semplificare i pagamenti: da inizio 2018 e con decorrenza da settembre 2019, le banche hanno l’obbligo di approvare i pagamenti effettuati da provider terzi (PSPs) che possono accedere agli account dei clienti attraverso open APIs. Inoltre, a tutela dei consumatori, non sarà più possibile far pagare ai consumatori additional fees per i pagamenti con carta di credito o di debito.

Focus Italia

Entrando nello specifico dell’ecommerce B2C italiano, i dati registrati durante il 2017 sono più che positivi. Il totale del fatturato generato ammonta a 35,1 miliardi di euro, crescendo complessivamente dell’11% rispetto al 2016. La crescita ha coinvolto tutti i settori merceologici anche se beni e servizi venduti online relativi alla categoria tempo libero e turismo continuano a rappresentare la quota più consistente del mercato, arrivando congiuntamente a generare il 70% del totale dell’ecommerce in Italia. I settori che sono cresciuti maggiormente in termini di fatturato sono salute e bellezza (+39%), moda (+28%), alimentare (+24%), elettronica di consumo (+21%), casa e arredamento (+19%), grazie agli investimenti degli operatori più grandi e a nuovi ingressi sul mercato. Il fatturato online di questi settori è tuttavia ancora modesto in termini assoluti e in proporzione agli altri settori (in tutti e cinque i casi e inferiore al 3%). Continua la crescita a due cifre dei vari marketplace online che si afferma come la terza categoria e in termini assoluti genera il 12% del fatturato. Si conferma il predominio dei grandi player internazionali, che diventano la prima meta per gli acquisti di molti consumatori, ma anche la crescita di player nazionali. Interessante anche la crescita nel settore dell’editoria, anche se più lentamente rispetto ad altri categorie, grazie soprattutto a servizi digitali e on demand come Spotify, Netflix e Infinity che hanno raggiunto una buona fetta di utenza.

Il ruolo dell’ecommece cross-border in Italia

Nel 2017 il fatturato ecommerce generato all’estero dalle aziende italiane è stato in media il 30% delle vendite online complessive, in lieve crescita rispetto al 29% del 2016. La percentuale di fatturato prodotta all’estero risulta però differente a seconda della strategia adottata. Per le aziende che fanno parte di gruppi multinazionali la percentuale e del 52%, mentre per quelle che dispongono di sedi all’estero è del 20%. Riguardo alle strategie messe in atto per l’ingresso sui mercati esteri, il 36% delle aziende italiane non ha una presenza fisica fuori dal Paese. Nonostante ciò l’80% si rivolge comunque ai clienti stranieri con un sito in più lingue. Come lo scorso anno, il 12% del campione vende unicamente attraverso il sito in lingua italiana. Il 5% opera con sedi o filiali all’estero (4% nel 2016) e il 16% fa parte di un gruppo multinazionale (12% nel 2016). Per lo sviluppo della vendita all’estero, le nazioni e aree verso le quali le aziende italiane intendono investire maggiormente nei prossimi 10 anni sono i vicini Paesi dell’Europa e, in secondo luogo, gli Stati Uniti. In particolare, la maggior parte delle aziende (53%) dichiara che investirà in Germania, il 49% in Francia, il 36% nel Regno Unito, il 29% in Spagna, mentre la percentuale di aziende che investirà negli USA è il 32%. Dopo gli Stati Uniti, il primo Paese extra europeo in cui le aziende italiane vogliono espandersi è la Cina, citata da 18% delle aziende.

Marketing e logistica

La promozione online del brand continua a essere un’attività critica per la maggior parte delle aziende ecommerce italiane. Le aziende soddisfatte dalle attività di promozione online sono il 31%, meno di un terzo del totale. Erano il 32% nel 2016 e il 39% nel 2015. Diminuiscono leggermente le aziende che dichiarano tale attività difficoltosa: il 54%, nel 2016 erano il 58% e nel 2015 il 53%. Continua ad aumentare la percentuale di aziende che valutano le attività di promozione online insoddisfacenti raggiungendo quota 14%, rispetto al 10% del 2016 e all’8% del 2015. Tra le operazioni di marketing, il keyword advertising raccoglie, come già rilevato in anni passati, la maggior parte degli investimenti (26%, come nel 2017). Le attività di social media marketing si posizionano al secondo posto con il 16% del budget (+2% rispetto al 2017), sorpassando le attività di SEO, alle quali viene destinato il 15% del budget (-4%). A parità d’investimento rispetto alla SEO rimane stabile l’email marketing con il 15% (+2% del 2017). In linea con l’anno precedente, la presenza sui siti comparatori riceve il 9% del budget di marketing, il 6% è destinato al Display advertising (banner), il 4% all’attivita di remarketing. I programmi di affiliazione, scorporati dai banner, ricevono il 2% e la stessa percentuale è destinata alle sponsorizzazioni e al programmatic advertising. Televisione, radio e stampa raccolgono complessivamente il 3% degli investimenti, un +1% rispetto al 2017. Secondo Casaleggio Associati il 54% delle aziende dichiara di aver adottato servizi di marketing automation nel corso del 2017. Rispetto agli ambiti, l’85% segnala di aver utilizzato servizi di marketing automation nell’Email marketing, il 41% rispetto alle Landing Page, il 37% per Marketing Analytics. Seguono con un 32% i servizi relativi al CRM e con il 30% i Social media. Il 17% li utilizza per il Campaign Management e il 15 per il Lead Management. Il 3% invece per il Contact prediction/Scoring. Tra gli obiettivi legati all’utilizzo di questa tecnologia, il 58% delle aziende dichiara di voler ottenere vantaggi legati alla misurazione dei risultati delle campagne e all’ottimizzazione del ROI. Il 44% vuole generare opportunità di upselling, il 40% individuare il Customer Lifecycle e progettare il Customer journey. Il 36% intende risparmiare tempo e il 29% aumentare la frequenza delle comunicazioni. Per quanto riguarda la logistica, il livello di soddisfazione delle aziende ecommerce italiane rispetto ai servizi di spedizione è peggiorato rispetto all’anno precedente. Il 36% degli esercenti giudica il servizio soddisfacente, ritenendo di aver raggiunto un ideale rapporto qualità/costi. Questo dato è in diminuzione del 19% rispetto all’anno precedente e aumenta proporzionalmente la percentuale delle aziende che lo giudica migliorabile (uno o più fornitori non sono all’altezza delle esigenze), raggiungendo quota 60%. Rimane invece stabile al 4% la percentuale di aziende che ritiene il servizio insoddisfacente e che cambierà uno o più fornitori a breve. Tra i servizi di spedizione il più utilizzato risulta essere Bartolini, seguito da DHL.

Questa pazza omnicanalità

Tutti i numeri appena elencati confermano come il retail tradizionale continui a essere influenzato in modo importante dall’ecommerce, anche e soprattutto nel cambio delle abitudini di acquisto dei consumatori. Nel corso del 2017 sono stati moltissimi i gruppi storici che hanno chiuso numerosi punti fisici e il settore più influenzato è indubbiamente quello del fashion. Nonostante ciò, molteomnicanalità_keyformat aziende vedono prosperare e moltiplicarsi i propri shop fisici (il bilancio tra chiusure e aperture negli Stati Uniti e comunque a favore delle aperture con un risultato di +4.000 unità) e si assiste alla trasformazione del concetto di shop tradizionale e all’integrazione dei canali online e offline. La strategia omnicanale e cliente-centrica, insieme all’adozione della tecnologia, sembra essere il segreto per i brand che continuano a prosperare. Nel 2017 il 17% delle aziende intervistate in una survey condotta sempre da Casaleggio Associati dichiara di avere un alto livello di implementazione della strategia omnicanale. Il 37% ha iniziato a svilupparla, mentre il 12% ha pianificato di lanciarla nel corso del 2018. Solo il 10% ha dichiarato che per loro non è applicabile, mentre il 24% che non prevede di svilupparla. Le tipologie di dati che vengono elaborate per strutturare l’omnicanalita sono numerose. Si rileva che le aziende riescono a elaborare i dati relativi all’anagrafica (65% degli intervistati), il comportamento d’acquisto (61%), l’interazione con i canali proprietari – sito, social, call center, etc. (46%). Seguono al 31% l’interazione in negozio e con il programma fedeltà e al 26% la soddisfazione rispetto all’esperienza d’acquisto e rispetto al prodotto. I negozi fisici continuano e continueranno dunque a essere presenti, come parte dell’esperienza d’acquisto. In alcuni casi potranno fungere prevalentemente da “generatore di esperienza” o da showroom, per consentire al cliente di conoscere il prodotto, provarlo ed entrare in contatto con il brand. Andare in negozio sarà considerata sempre più un’esperienza paragonabile a quella di andare al cinema, invece di guardare il film a casa. Il consumatore si aspetta attività coinvolgenti, come gli eventi, nonché l’utilizzo di tecnologia, come ad esempio la realtà aumentata, per provare i capi solo virtualmente o ottenere suggerimenti per gli abbinamenti. Allo stesso modo dovranno trasformarsi gli acquisti in negozio: al cliente dovranno essere fornite le possibilità di effettuare l’acquisto in modo tradizionale, ma anche online tramite supporti digitali offerti dallo store o quelli dello stesso cliente. Anche la consegna dovrà evolvere, favorendo l’invio del prodotto a domicilio con consegna veloce, anche in giornata.

Trend e numeri del mobile commerce

Nel 2017 il 42% delle sessioni di ecommerce nel mondo è avvenuta via mobile e il 21% si e tramutata in una vendita diretta sul device. I pagamenti via mobile nel 2017 hanno raggiunto i 780 miliardi di dollari e per il 2019 si prevede che raggiungeranno i 1.000 miliardi. In particolare, per le aziende italiane di ecommerce nel 2017 la percentuale di fatturato mobile sul totale delle vendite online è stata in media del 28%. Questa percentuale è in continua crescita: nel 2012 le vendite mobile rappresentavano il 5% del totale, nel 2013 l’8,5% e il 13% nel 2014. Nel 2015 la percentuale rilevata era il 22% e nel 2016 del 26%. Dati che sottolineano come l’influenza dello smartphone sugli utenti in termini di ecommerce è sempre più massiccia, in quanto aumentano i clienti multichannel che navigano da device prima di scegliere cosa acquistare. Oltre alla ricerca di informazioni prima dell’acquisto, secondo Google il 42% degli utenti in-store fa ricerca sul mobile e lo stesso Google continua a promuovere l’utilizzo del mobile premiando con il suo algoritmo i siti mobile-friendly. Sul totale degli acquisti, si rileva che il 36% ha avuto almeno una sessione di ricerca via mobile.  Proprio per questa ragione sono sempre di più i brand che fanno del mobile il device per eccellenza e puntano sullo sviluppo di app. Lo smartphone, insieme ai device vocali, e lo strumento che consente di intercettare i cosiddetti Micro Moments e di raggiungere gli utenti nel momento esatto in cui gli utenti vogliono sapere, andare, acquistare, fare. L’82% dei consumatori fa ricerche legate alla geolocalizzazione tramite mobile e questo aumenta le possibilità di conversione e lo sviluppo di tecnologie dedicate. Anche le tecnologie legate ai pagamenti via mobile sono in continua evoluzione, da Google Pay che ha unito il wallet di Google a Android Pay, a iOS che con uno degli ultimi aggiornamenti ha reso disponibile anche in Italia Apple Pay, a Samsung Pay, approdato in Italia nei primi mesi del 2018. In crescita anche il numero di aziende che nel 2017 hanno adottato soluzioni di messaggistica istantanea per dialogare con i propri clienti: il 69% afferma, ad esempio, che WhatsApp è parte integrante del customer care dell’azienda, mentre il 52% ritiene che contribuisca alla crescita del loro business. Percentuali in linea con gli usi da parte dei consumatori: il 48% degli shopper nel 2017 si è collegato con una chat di brand e segnala la chat come mezzo preferito rispetto a qualunque altro mezzo di comunicazione. Non a caso nel 2017 si è andata affermando l’esperienza consumatore-chatbot, grazie anche all’apertura ai bot da parte di WhatsApp, che ha aperto un canale di comunicazione tra le aziende a oltre un miliardo di utenti, seguendo l’esempio di Facebook Messenger, Snapchat o Telegram. I chatbot soddisfano le esigenze del One2One marketing, sono disponibili 7/24, forniscono contenuti mirati in base al comportamento d’acquisto e alle preferenze dell’utente nonché risposte automatizzate in base alle esigenze sfruttando applicazioni di messaggistica già molto diffuse tra gli utenti. 

Ricerca vocale e AI

Nel 2017 gli assistenti virtuali come Alexa di Amazon, Siri di Apple, Google Now e Cortana di Microsoft hanno registrato un aumento del 23% nel loro utilizzo. 60,5 milioni di americani hanno usato un assistente virtuale almeno una volta al mese e i maggiori utilizzatori sono i millennials. Rispetto all’ecommerce emerge che gli assistenti vocali diventeranno il canale predominante di interazione con i consumatori. Nei prossimi tre anni il 40% degli utenti preferirà interagire con questa tecnologia che accedere a un sito web e chi già la utilizza dichiara che sarà disposto a spendere fino al 500% in più mediante l’utilizzo di assistenti vocali. Gli assistenti vocali consentono anche di accedere a informazioni relative ai negozi fisici, come avviene con Google Assistant, che ad esempio è in grado di segnalare dove trovare un prodotto in-stock presso un negozio fisico. Questa tecnologia diventerà sempre più in uso e verrà adottata come standard da diverse tipologie di brand. Solo negli USA, i device con comando vocale come Amazon Echo o Google Home hanno registrato nel 2017 un incremento di utilizzo del 129% rispetto all’anno precedente. A utilizzare gli speaker per effettuare acquisti sono soprattutto i clienti che sono fidelizzati ai brand. Acquistare nuovi prodotti tramite speaker infatti risulta ancora poco naturale, dal momento che non è possibile visualizzare il prodotto. A tal proposito i player si stanno attrezzando e, ad esempio, Echo ha una versione corredata da video, Echo Show, che consente di incrementare le vendite tramite device. Tra i plus rilevati dagli utenti rispetto a questa tecnologia c’e la facilita di utilizzo, la sicurezza trasmessa, nonché l’alto livello di engagement. I prezzi dei device sono diminuiti nel corso del 2017 e si prevede che diminuiranno ulteriormente , dando quindi accesso a un maggior numero di persone e favorendone la diffusione. Anche i retail credono fortemente in questa tecnologia, ad esempio da settembre 2017 Walmart ha stretto una partnership con Google per offrire ai propri clienti l’opzione voice shopping che consente di collegare il proprio account Walmart a Google Express e ordinare prodotti attraverso la tecnologia vocale di Google. Grazie a questa partnership Google ha molti più prodotti da proporre sulla piattaforma express. Domino’s Pizza, Pizza Hut e Starbucks vendono già tramite Alexa. Sephora consente di prenotare servizi di bellezza in store tramite Google Assistant. Anche i wearable devices ricoprono un ruolo importante rispetto all’ecommerce: nel corso del 2017 il numero di transazioni tramite wearable device in Europa è aumentato del 145%. Il 24% della popolazione si dichiara pronta a utilizzare i pagamenti contactless tramite wearable device, come ad esempio lo smartwatch. Questi oggetti forniscono una facilitazione per chi li utilizza grazie alla semplicità e velocità di utilizzo, nonché all’alto livello di sicurezza molto apprezzato dagli utenti. Tutte queste tecnologie consentono di raccogliere un’ampia gamma di dati di diversa tipologia e provenienti da diverse fonti che divengono una fonte di informazioni sul comportamento d’acquisto da cui apprendere. Molte aziende stanno implementando metodi di data analysis e predictive analysis, per comprendere le abitudini di acquisto, le preferenze e perfino gli acquisti futuri dei clienti, sulla base del comportamento di altri clienti con simili profili.

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