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Keyformat è una digital agency di Milano che fornisce servizi di consulenza web marketing, social media management, SEO, link building e realizzazione siti

Ti raccontiamo la nostra storia, che grazie al gioco di squadra ha reso possibile ogni vittoria. Abbiamo messo in campo le nostre capacità, per questo siamo stati scelti per grandi progetti. Se sei alla ricerca delle ultime novità sicuramente sarai il prossimo che ci contatterà.
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Google

SEO

Come entrare e come funziona Google News – Info per il 2020

Uno strumento sempre più riconosciuto per far guadagnare visibilità ad un sito di carattere editoriale è Google News, un canale importante e utile che bisogna imparare a conoscere e sfruttare al meglio.

La sezione Google News è strutturata per offrire i contenuti più aggiornati e affidabili sui trend topic del momento, accessibili tramite menu di navigazione ed eventuali caroselli posizionati in cima alla SERP. Il servizio ha lo scopo di fornire notizie sui temi caldi del momento, andando quindi incontro a esigenze ben precise di informazione da parte degli utenti, che percepiscono in maniera particolarmente favorevole a livello di credibilità i contenuti pubblicati in questa area.

Per le sue caratteristiche, entrare in Google News non è semplicissimo: bisogna infatti soddisfare criteri importanti per essere accolti in questa area e trarne i relativi benefici. Inoltre, a partire da dicembre 2019 è stata introdotta una significativa novità che cambia la situazione e le dinamiche di accesso.

Valutiamo innanzitutto quali sono i punti fermi che possono aiutare in questo processo, partendo da alcune considerazione sui testi proposti dal sito. Come già accade normalmente in ottica di ottimizzazione SEO, risulta importante avere contenuti originali e di qualità, inserendo informazioni e dati chiari e precisi, senza limitarsi a banali copia/incolla che porteranno il sito ad essere scartato. Nello stesso tempo, un elemento fondamentale è rappresentato dal tipo di argomento, che deve riferirsi ad eventi e tematiche recenti proprio perché si tratta di un’area di News dove l’attualità dei contenuti è indispensabile per assicurare un servizio veramente utile.

È invece malvisto un eccesso di contenuti sponsorizzati o annunci pubblicitari, giudicati poco appropriati alla linea editoriale di Google News. 

Per quanto riguarda gli aspetti più tecnici, Google News reclama qualche requisito base per far sì che la struttura del sito sia facilmente leggibile dal crawler:

  • URL unici e permanenti.
  • utilizzo di link HTML,  favoriti dal crawler rispetto a Javascript o in frame.
  • consentire l’accesso al sito da parte di user-agent Googlebot e Googlebot-news.
  • inserimento di una sitemap per Google News.

Veniamo ora alla novità 2020 riguardo alle procedure di inserimento: se infatti fino a dicembre scorso era necessario compilare un modulo di inclusione online e attendere il responso, ora non c’è più nessuna richiesta da fare e l’accettazione è diventata automatica, a condizione che il sito rispetti le condizioni necessarie indicate. La modifica alle linee guida del servizio comporta una semplificazione della procedura, che non prevede quindi più nessuna domanda di accesso ma un’azione autonoma da parte di Google News, che valuta caratteristiche e struttura dei siti e procede direttamente al tanto agognato inserimento in caso di riscontro positivo.

Un’altra novità riguarda il lancio dell’interfaccia Publisher Center, che prende il posto dei precedenti strumenti Google News Publisher Center e Google News Producer e consente agli editori di gestire i propri contenuti su Google News e realtà correlate in maniera più organizzata ed efficace, oltre ad ottimizzare il processo di monetizzazione.

Alla luce di questi sviluppi risulta ancora più urgente impegnarsi a soddisfare i requisiti necessari, prendendo in considerazione anche un possibile aumento di competitor, non più circoscritti tra coloro che fanno attivamente domanda. La lotta per emergere può diventare quindi più difficile, ma i benefici in fatto di ampliamento del bacino di utenza ripagheranno di certo gli sforzi compiuti.

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Branding

Il crollo di Huawei in Italia: le intenzioni di acquisto online scendono del -64,8%

Nelle ultime settimane, Huawei ha decisamente fatto parlare di sé, e non per nuovi modelli o innovazioni senza pari. Lo scorso 20 maggio, infatti, Google aveva deciso di “tagliare” Android alla società cinese e in tutto il mondo (anche in Italia) ci si è chiesti cosa riservasse il futuro per i possessori di questo smartphone (o per gli interessati ad acquistarne uno). idealo – portale internazionale di comparazione prezzi tra i leader in Europa – ha deciso di approfondire la tematica per capire quanto il caso Huawei si rifletta anche nel commercio online.

Come prima cosa, secondo i dati rilevati, il mercato degli smartphone in quasi tutt’Europa sta vivendo in  questo periodo  un’inflessione negativa: parliamo  infatti di un -38,2% in Italia, un –15,8% nel Regno Unito, un -10,7% in Spagnae infine un -9,5% in Francia. Gli unici due Paesi dove, invece, la situazione è in controtendenza sono Austria (+1,1%) e Germania (+26,8%).

Ma come si stanno comportando gli e-consumer nei confronti di Huawei? In questi giorni le ricerche sono letteralmente crollate in tutta Europa: Regno Unito (-77,8%), Spagna (-67,1%), Italia (-64,8%), Francia (-55,9%), Austria (-36,1%) ed infine Germania (-13,0%).

In Italia, in particolare, a crollare in questi giorni però non sono stati solo i device Huawei, ma anche prodotti di brand cinesi come Honor (-56,3%), Cubot (-50,0%) e Xiaomi (-26,9%) e Alcatel (-25,0%). Viceversa, i brand cinesi in spinta positiva sono OnePlus  (+91,0%) e OPPO (addirittura il +100,0% di ricerche).

Uno sguardo più ampio sulla diffusione degli smartphone cinesi in Italia

In Italia la percentuale di diffusione degli smartphone cinesi è pari al 35,8% ed è tra le percentuali più alte di tutt’Europa (seconda solo alla Spagna, 44,4%). Segue poi il Regno Unito (29,5%), la Francia (27,9%), l’Austria (23,3%) e la Germania (22,6%).

Verso quali produttori cinesi si orienta – o si è orientato in passato fino ai recenti accadimenti – l’interesse degli e-consumer italiani? Nella top five del 2019 degli smartphone più desiderati vi sono tre produttori cinesi quali Xiaomi (16,9%), Huawei (16,1%), Honor (5,6%). Oltre a questi tre famosi brand, tra le altre case cinesi produttrici di smartphone l’interesse degli e-consumer italiani è stato rivolto verso OnePlus, Alcatel, Lenovo, Meizu, Cubot, ZTE, Oppo, Hisense, Haier, Vivo e Coolpad.

I cinque smartphone cinesi più desiderati su idealo Italia nell’ultimo anno hanno visto al primo posto Xiaomi Redmi Note 5 seguito da Huawei p20, Xiaomi Mi a2 Lite, Xiaomi Redmi 5 plus e ancora Huawei p20 Lite.

L’e-consumer italiano interessato agli smartphone cinesi

Si tratta per la maggior parte dei casi di utenti tra i 35 e i 44 anni (28,0%) e uomini (79,0% vs 21,0% delle donne). Interessante notare come nella stragrande maggioranza dei casi (89,8%) le ricerche vengano effettuate da dispositivi Android: solo il 7,5% delle ricerche di smartphone cinesi vengono infatti cercate da iOS (per quanto riguarda Windows abbiamo una percentuale solo del 1,5%). Passando alle preferenze di navigazione, secondo i dati raccolti dal lunedì al venerdì si hanno l’11,2% di ricerche in più rispetto al fine settimana.

Le tre regioni italiane nelle quali viene rilevato maggior interesse nei confronti di smartphone cinesi sono il Lazio, la Lombardia e l’Emilia-Romagna. In fondo alla classifica, invece, Umbria, Basilicata e Valle d’Aosta.

“Accadimenti come il “caso Huawei” influenzano i consumatori e ribaltano completamente le carte in tavola – ha commentato Fabio Plebani, Country Manager per l’Italia di idealo – su idealo Italia tra gli smartphone più desiderati dell’ultimo anno vi è sempre stato Huawei ma dopo quanto accaduto nei giorni scorsi, le cose sono letteralmente cambiate. Se quindi da un lato vi è un momento di stagnazione nel mercato degli smartphone, dall’altra parte vi sono i brand cinesi che risentono in particolar modo di questa inflessione negativa. Non sappiamo come si evolveranno le cose, ciò che è certo è che da questo momento in poi si delineeranno nuovi equilibri nei quali potranno emergere nuovi player. Oppure, in alternativa, a beneficiarne potrebbero essere proprio i grandi rivali Apple e Samsung, che da tempo stavano subendo l’avanzata cinese. In momenti di incertezza, infatti, gli utenti potrebbero affidarsi ai marchi più conosciuti, soprattutto se le limitazioni verranno estese a tutti i produttori cinesi”.

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Scenario

Amazon: i trend attuali e del futuro

Dopo un 2018 pieno si soddisfazioni, ecco un’analisi del presente e di cosa aspettarsi dall’azienda nei prossimi anni

Per Amazon il 2019 si è aperto tra i primi progetti già in fase di lancio e grandi aspettative per i mesi e gli anni a venire.

Il 2018, infatti, è stato un anno molto positivo per Amazon, che è riuscita a consolidare ancora di più il suo potere economico e non solo, rendendo quindi normale il crearsi di previsioni ancora più grandiose per quella che è una delle realtà più innovative degli ultimi 20 anni. Ecco, quindi, una carrellata di trend riguardanti Amazon, così da sapere cosa aspettarsi nel prossimo futuro, sia su scala globale che nazionale.

L’incoronazione come più grande azienda al mondo

Che Amazon fosse un nome imponente e che fosse, ormai, uno dei player più importanti al mondo lo si era capito da tempo, ma ora è ne arrivata anche la conferma.L’azienda, infatti, è stata dichiarata essere la più grande in assoluto, con una valutazione di mercato di 799 miliardi di dollari: ben 8 in più del suo diretta concorrente Microsoft, ferma a 791 miliardi. Proseguendo con la classifica troviamo poi Alphabet, società a cui fa capo Google, con 747 miliardi di dollari, seguita da Apple che, a causa anche degli ultimi avvenimenti sfortunati, risulta essere quarta con “solo” 669 miliardi. Una valutazione, quella di Amazon, che ha fatto anche guadagnare valore alle sue azioni, aumentate del 3,5%, pari a circa 1.632 dollari per azione.
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Introiti pubblicitari da record

Si prospetta che entro il 2023 Amazon raggiungerà 38 miliardi di dollari solo dalla vendita di pubblicità data driven, piazzandosi così subito dietro le spalle di Facebook (59 miliardi) e Google (215 miliardi). Numeri da capogiro per l’azienda di Seattle, soprattutto considerando che è proprio il business delle pubblicità, tra tutti quelli dell’azienda, ad essere in più rapida crescita. Secondo quanto rivelato da Pivotal Research poi, la categoria “Altri Ricavi” del colosso dell’eCommerce sarebbe composta per il 90% da entrate media e ad tech, compiendo così un balzo in avanti rispetto allo scorso anno a causa del cambiamento a livello di account: le promozioni retail trade del sito, infatti, vengono ora categorizzate come pubblicità. Si tratta di un settore capace di far fruttare nel 2018 ben 3 miliardi di dollari, sui 9 pubblicitari complessivi, emblema di una crescita che non accenna a fermarsi.

Nel frattempo, a Milano…

Tra i paesi su cui l’azienda sta puntando di più c’è sicuramente l’Italia, in cui sono in progetto diverse novità. Prima fra tutte l’apertura del primo negozio Amazon 4-Star a Milano, store in cui sarà possibile acquistare prodotti recensiti con 4 stelle o più: si tratta di un esperimento che negli Stati Uniti sta già dando i suoi frutti e che verrà lanciato in Italia partendo proprio dal comune meneghino. Lo store di Milano sarà – secondo DDay – più grande di quello di New York e, come quest’ultimo, avrà i prodotti divisi per categorie e con speciali offerte per gli abbonati ad Amazon Prime.

Si tratta dell’ennesimo investimento dell’azienda nel Belpaese, dopo l’esperimento del temporary store durante il black friday (nonostante, però, fosse solo una vetrina, non permettendo quindi l’acquisto dei prodotti). Una lunga serie di segnali che fanno ben prospettare circa i futuri investimenti dell’azienda di Seattle in Italia.

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Dynamic Marketing

Google compie 20 anni tra luci e ombre

Con circa 80 miliardi di dollari dalla pubblicità online, il motore è divenuto nel tempo la più grande concessionaria al mondo. Un successo commerciale che non accenna a diminuire, nonostante i crescenti problemi con i regolatori di tutto il mondo.

La storia, almeno quella iniziale, è nota a tutti. E anche se non lo fosse, non ci vuole molto ad immaginare che anche Google, come quasi ogni altro gigante della Silicon Valley, è nato in un garage. Oltre al garage, gli altri protagonisti della storia sono due giovani geniali dottorandi di Stanford con in tasca un brevetto potenzialmente rivoluzionario e un dominio registrato per errore. Sarebbe dovuto essere Googol, termine coniato dal matematico Edward Kasner per indicare 10 elevato alla centesima potenza, quel numero intero espresso da un 1 seguito da cento zeri. Era il 4 settembre del 1998 quando Larry Page e Sergey Brin fondavano ufficialmente Google. I vent’anni successivi sono stati il frutto in evoluzione, o forse sarebbe meglio dire “in rivoluzione”, della creazione di Google: crescita esponenziale di internet, dei suoi utenti e, ovviamente dei fatturati del motore

E per chi si chiedesse come abbia fatto l’azienda ad arrivare ad avere 60mila dipendenti e un fatturato da 110 miliardi la risposta è duplice: dettando e non subendo, in ogni momento, i cambiamenti tecnologici attraverso una costante attività di ricerca e sviluppo che l’ha portata nel tempo a diversificare le sue attività all’interno di un numero impressionante di settori, anche  tradizionali, come nel caso dell’auto senza conducente.

Un alfabeto di innovazioni

L’azienda e i suoi fondatori preferiscono festeggiare il proprio anniversario il 27 settembre, data in cui il motore di ricerca ha superato il (primo) record di contenuti indicizzati e non il 4, giorno della fondazione di Google Inc. Ma il dominio google.com in realtà venne registrato nel 1997, prima che la società avviasse le proprie attività.

Oggi Google Inc. è parte della galassia Alphabet, la holding creata nel 2015 proprio per rendere più chiara agli occhi degli azionisti l’evoluzione multidisciplinare del suo business: non più solo motore di ricerca, ma anche piattaforma video con YouTube, sistema operativo con Android, browser con Chrome, produttore di dispositivi hardware – leggi Google Home. Senza considerare altre operazioni meno note, come il Cloud e gli esperimenti nel campo dell’intelligenza artificiale e della salute e, come già detto, dei trasporti.

Ma l’attività che ha fatto e continua a costituire la fortuna della società è quella legata alla pubblicità, ovviamente digitale. Un ambito in cui Google ha rivoluzionato profondamente sia i processi sia gli equilibri di mercato, e questo nonostante agli albori Brin e Page si fossero schierati contro l’advertising.

A come Advertising

Nei vent’anni appena trascorsi, infatti, Big G è divenuta la più grande concessionaria al mondo: nel 2016, secondo il rapporto di Zenith, il fatturato proveniente dagli annunci promozionali è stato di circa 80 miliardi di dollari, ben superiore a quello di mostri sacri della televisione come ad esempio Fox.

Oggi Google è guidata dal Ceo Sundar Pichai, mentre Eric Schmidt, il manager che ha seguito la crescita di valore dell’azienda dei due nerd Brin e Page, ha lasciato tutti i ruoli operativi all’interno della società all’inizio del 2018. Anche Brin e Page si sono progressivamente allontanati dal business di tutti i giorni, rimanendo comunque all’interno dell’azienda. 

L’altra faccia del motore

La crescita ipertrofica e soprattutto le dimensioni raggiunte da Google in termini di quote di mercato – circa il 90% degli occidentali online lo utilizza per le sue ricerche – hanno procurato alla società non pochi grattacapi con i regolatori di tutto il mondo. E le le maxi-sanzioni comminate dall’Unione Europea ad Alphabet negli ultimi quattordici mesi, inerenti pratiche scorrette sono soltanto le ultime in ordine di tempo. Il colosso di Mountain View deve fare i conti anche con le autorità fiscali dei diversi Paesi in cui opera e, da poco, anche con la politica. In questi giorni, infatti, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha accusato il motore di ricerca di essere “truccato”. Il motivo? Google favorirebbe la circolazione di fake news e notizie denigratorie sul conto del presidente degli States.

E tra un po’ potrebbe riaprirsi nuovamente il capitolo Cina: Google ha cessato le operazioni del suo motore di ricerca diversi anni fa, in aperto scontro con la censura del Paese. Ma, secondo alcune indiscrezioni – solo parzialmente smentite dai numeri uno del colosso – potrebbe presto tornare a fare affari con uno dei governi più oppressivi del pianeta. Per il momento, a parlare sono soprattutto i suoi numeri: un utile netto di 8,2 miliardi di dollari e una capitalizzazione del titolo di circa 850 miliardi, che ne fa una delle aziende a più alto valore in tutto il mondo. Con un futuro ancora tutto da scrivere.

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Scenario

Noi siamo i brand che scegliamo

La società di ricerche Ipsos ha chiesto agli italiani quali sono le marche più influenti per loro e i risultati tra conferme e qualche sorpresa. Ikea unico non digital nella top ten, dove non ci sono brand nostrani

Ipsos, leader mondiale nel settore delle ricerche di mercato, ha stilato la nuova classifica 2018 dei “The Most Influential Brands”, ovvero le 100 marche in Italia che, secondo l’opinione degli oltre 4.000 italiani intervistati, sono in grado, in modi e per motivi differenti, di “influenzare” le nostre vite.

L’edizione 2018 della ricerca ha posto l’accento sulla relazione tra influenza e identità, indagando in che modo un brand può rafforzare la propria influenza permettendo ai propri clienti, utenti e consumatori, di rappresentare e addirittura esprimere la propria identità. Un tema, quello dell’identità, che sta assumendo un ruolo sempre più determinante per orientare le scelte di consumo. Il consumatore contemporaneo, senza più i forti valori di appartenenza tradizionali, trova nelle marche un nuovo elemento d’identificazione e, in alcuni casi, un vero e proprio alleato nella vita di tutti i giorni. Sono i brand capaci di mettere al centro l’individuo e di rifletterne i valori quelli che, più di altri, sono anche in grado di ispirarne le scelte.

«Il processo d’identificazione tra noi e i brand influenza le nostre abitudini, i nostri comportamenti e i modi di fare acquisti nella vita di tutti i giorni – osserva Nicola Neri, Amministratore  Delegato Ipsos, che aggiunge -Basti pensare che dai dati di un nostro studio internazionale emerge come il 66% degli intervistati dichiari di comprare tendenzialmente marchi che riflettono i propri valori; mentre un 63% afferma di attribuire sempre maggiore importanza alle marche di cui si fida,  soprattutto nel contesto contemporaneo, in cui siamo costantemente sovraesposti a migliaia di opzioni e input differenti”.

L’importanza fondamentale per l’azienda di saper creare un rapporto identitario con i consumatori è pienamente confermata dal ranking 2018 dello studio “The Most Influential Brands”. Se guardiamo la classifica da questa prospettiva, notiamo che spiccano le realtà che offrono servizi il più possibile personalizzati e/o personalizzabili e che danno alle persone ampia libertà di scelta, rispondendo in modo rapido e puntuale ai loro bisogni.

La Classifica The Most Influential Brands 2018 e Insight

Se si ragiona in termini di servizi e di capacità di soddisfare velocemente le esigenze, ecco che al primo posto della classifica 2018 compare Amazon: l’online retail divenuto parte integrante delle abitudini di acquisto per molti che, per la prima volta, spodesta il primato di Google.

Due le new entry nella Top 10 2018: PayPal al quarto posto e IKEA al decimo. La società di pagamento digitale entra per la prima volta e con forza, nel ranking, segno probabile di quanto la facilitazione dei processi quotidiani sia valore oltremodo determinante dell’influenza delle marche. IKEA, invece, si attesta come unico brand non tech e non di servizi che riesce a raggiungere per la prima volta la Top 10. Il colosso svedese si dimostra ancora una volta maestro nello storytelling incentrato sulla libertà di scelta che diventa espressione della propria identità.[/vc_column_text][hcode_blockquote blockquote_icon=”1″ hcode_blockquote_heading=”Ipsos”]Cinque sono i fattori chiave che determinano l’influenza* di una marca sulla vita quotidiana dei consumatori: 1) Engagement (coinvolgimento), 2) Leading Edge (innovazione, capacità di far tendenza), 3) Trustworthy (fiducia, affidabilità), 4) Corporate Citizenship (impegno e ruolo sociale), 5) Presence (presenza)[/hcode_blockquote][vc_column_text]Fuori dai dieci, per la prima volta, tutte le aziende del comparto Food che rimangono comunque nei posti alti della classifica generale grazie al grande valore che in Italia si attribuisce ancora al settore alimentare e la capacità di tali brand, si pensi a Nutella, Parmigiano Reggiano, Ferrero, Barilla, Grana Padano, nell’aver costruito negli anni un forte legame identitario (e nazionale) con i consumatori. Non a caso questi brand performano in maniera molto alta sulle dimensioni del Trustworthy (fiducia e affidabilità) e della Corporate Citizenship (impegno e ruolo sociale).

Il mondo dell’Entertainment merita una riflessione a parte perché emblema di come stia cambiando in modo radicale il modello di fruizione da parte dei consumatori. Finita ormai l’era dei palinsesti fissi, il settore tv e dei nuovi servizi ad esso collegati è in continua evoluzione, impegnato in maniera quasi spasmodica nell’offrire un servizio il più possibile personalizzato, ampio, esclusivo e disponibile in qualsiasi momento. Simbolo di queste rapide trasformazioni e della capacità di rispondere puntale alle esigenze dell’utente è la scesa in campo di Netflix che, nel giro di un solo anno, ottiene un avanzamento da record: se nella classifica 2017 il famoso portale di streaming era all’ottantesima posizione, nel 2018 si attesta al 26°. Un balzo in avanti di ben 60 posizioni che non fa altro che sottolineare “l’affaticamento” delle reti tradizionali a tenere il passo. Un’altra crescita significativa, sempre restando nel settore del consumo di entertainment, è quella di Spotify, piattaforma streaming musicale che registra un salto in avanti di quasi 30 posizioni rispetto al 2017.

Tra le aziende che operano nel settore moda spicca Zalando che, per la prima volta in classifica, entra direttamente al 29° posto. Ancora una volta il consumatore premia un servizio rapido, personalizzabile, con un ampio catalogo di offerta che permette grande libertà di scelta e che dà la possibilità di esprimere il proprio stile. Ci sono infine i social network che dopo aver cambiato in maniera così profonda e netta il modo di comunicare, confrontarsi e informarsi si relazionano in maniera del tutto nuova alle generazioni più giovani. Se si osserva la classifica The Most Influential Brands 2018 in base alle fasce di età, emerge in maniera inequivocabile come i più giovani (la cosiddetta generazione Z, tra i 15 e i 22 anni) seguano decisamente altre logiche. La GenZ è infatti la prima ad essere cresciuta con i social e la classifica lo rispecchia. Tra i giovannismi Whatsapp è al primo posto, Amazon solo al terzo, dopo Google, Facebook scende al quinto, mentre compare con forza Instagram, social network non presente nella Top 10 delle altre fasce di età prese in considerazione. Ed è proprio il social network delle immagini per eccellenza che registra un notevole salto in avanti passando dal 33° posto della classifica generale alla sesta posizione nella classifica della GenZ, confermandosi uno dei i social network preferiti tra i giovanissimi.

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Scenario

Internet advertising, nel 2018 il mercato vale 3 miliardi di euro. Il mobile diventerà il canale principale entro l’anno

Da segnalare la crescita del programmatic e del video, tra i formati display. Ma si evidenzia un problema di concentrazione: il 70% dei budget sono in mano a due soli operatori: Google e Facebook

 La pubblicità digitale in Italia dovrebbe crescere attorno ai 3 miliardi di euro quest’anno, grazie a un incremento dell’11-12% rispetto all’anno scorso. È quanto emerge dai dati presentati dall’Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano in occasione del convegno “Internet Media, avanti tutta, ma avanti tutti?”. Titolo che sottolinea la situazione descritta dai numeri della ricerca, con un mercato del digital advertising iperconcentrato, con necessità di maggiori garanzie in tema di trasparenza e misurazione nei confronti degli investitori pubblicitari. “Gli OTT, in particolare si autocertificano e autocontrollano, imponendosi al mercato per la scala: per questo il settore ha bisogno di un ente terzo e di regole chiare ha dichiarato nel corso della presentazione della ricerca Andrea Lamperti, Direttore dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano.

La fotografia del mercato

Dopo una ripresa del mercato Me- dia nel 2016 (Advertising + Contenuti), l’anno scorso il segmento ha registrato un andamento piuttosto stabile: -0,1% a 15,8 miliardi di euro. Tra i media tradizionali, a fronte di un calo della Televisione (-1%) e della Stampa (-6%), si segnala l’aumento della Radio (+5%). Gli Internet Media fanno invece segnare complessivamente un aumento del 14%: la componente legata alla vendita di contenuti Media online cresce infatti con percentuali più alte (+25%), ma in valore assoluto rimane ancora limitata, mentre l’advertising online cresce del 13% e rappresenta ancora il 93% di questo segmento (era il 94% nel 2016). Negli ultimi dieci anni, le posizioni di Stampa e Internet nel mercato pubblicitario si sono ribaltate (da una quota rispettivamente del 31% e del 10% nel 2008, oggi i due mezzi sono passati al 13% e al 34%), mentre nel 2017 la Tv tocca la sua quota minima.

Avanti tutta, non tutti

Non si ferma quindi la crescita del mercato degli Internet Media (advertising e pay) in Italia. La componente principale è sempre quella legata ai ricavi pubblicitari, che vale 2,68 miliardi di euro, in crescita del 13%, e rappresenta oltre un terzo dell’intero comparto pubblicitario italiano. Proprio questa componente, così rilevante per il settore, è però controllata nella sostanza da due attori: Google e Facebook. I due colossi americani, infatti, pesano oltre il 70% degli investimenti pubblicitari internet. Gli straordinari risultati ottenuti impongono però a questi attori un atteggiamento responsabile volto a garantire condizioni di corretto funzionamento della filiera soprattutto nei confronti delle aziende investitrici, e questo non sempre ancora avviene.

Video re dei formati 

Il Display advertising cresce del 18% e supera gli 1,6 miliardi di euro a valore, confermandosi la prima componente del mercato pubblicitario online (vale il 62%, contro il 59% nel 2016); tuttavia, l’incremento derivante dalla componente banneristica è decisamente inferiore (+6%) a quello proveniente dal Video (+36%). Con questi tassi di crescita, infatti, la parte Video raggiunge il 43% del totale Display advertising e ci si aspetta che il trend verrà confermato anche per il 2018, anche se a tassi inferiori. Nel 2017 il segmento video ha superato i 700 milioni di euro. L’incremento deriva, analogamente agli ultimi anni, dalle piattaforme di Video sharing e soprattutto dai Social network, che sempre più modellano la propria struttura per accogliere questi formati pubblicitari. La componente Video a fine 2017 arriva a pesare il 26% del totale internet advertising; confrontata con gli investimenti televisivi, ogni 100 euro destinati al piccolo schermo quasi 20 euro sono invece indirizzati ai Video online (erano solo 8 nel 2014). Anche se ancora irrisori come valore assoluto, è interessante citare gli investimenti, in logica di test, su formati innovativi come video verticali (diffusi in particolare su Instagram e Snapchat), video 360 gradi, formati di video interattivi con chatbot o che prevedono l’utilizzo di realtà aumentata.

Search, Classified ed Email 

L’acquisto di visibilità nei motori di ricerca (Search) vale circa 790 milioni di euro e registra una crescita più alta di quella dell’anno precedente (+8% rispetto al +4% del 2016). La quota di mercato, tuttavia, scende al 29% rispetto al 31% di 12 mesi fa; per il 2018 è prevista un’ulteriore crescita di questa componente, anche superiore a quella registrata fino ad oggi. Gli annunci su siti di compravendita o directory online (Classified) supera i 210 milioni di euro, in crescita del 7% rispetto al 2016. L’incremento è dovuto soprattutto ai portali verticali di annunci, in particolare nel settore automotive. La quota di mercato scende all’8% rispetto al 9% del 2016 e la crescita attesa per i prossimi 12 mesi è in linea con quella dell’ultimo anno. L’Email advertising rimane fermo a circa 30 milioni di euro. L’evoluzione della tecnologia sta cambiando le modalità di invio, sempre più verso target profilati, ma senza incrementarne la raccolta complessiva. Essendo un formato utilizzato in particolare dalle piccole e medie imprese (quasi mezzo milione di PMI b2c in Italia), il suo sviluppo è fortemente influenzato dal tasso di utilizzo di queste aziende.

Il mobile mette la freccia 

La raccolta pubblicitaria online suddivisa per device di fruizione mostra come il mondo Smartphone abbia ridotto, nell’ultimo anno, la distanza dalla componente Pc. Il peso dello Smartphone sul totale del mercato è infatti pari al 41% nel 2017 rispetto al 30% del 2016, mentre il peso del desktop è sceso al 54% rispetto al 65% del 2016. Il Tablet (solo App) rimane marginale, pari al 5% del totale. I due canali Mobile si avvicinano alla fatidica soglia del 50% del mercato e probabilmente la supereranno a fine 2018. La raccolta pubblicitaria su Smart Tv è al momento ancora residuale, ma si iniziano a registrare le prime attività in tale direzione legate a piattaforme di Addressable Tv. La crescita in valori assoluti dell’advertising su Smartphone è notevole: a fine 2017 ha raggiunto un valore di circa 1,1 milioni di euro, +56% rispetto al 2016. La percentuale di spesa delle aziende dedicata al Mobile si avvicina così sempre più alla quota del tempo di navigazione degli utenti su Smartphone (che come l’anno scorso resta di poco superiore al 60%). Nel 2018 queste dinamiche di pervasività continueranno: ci si attende un’ulteriore crescita della raccolta pubblicitaria sui Mobile device vicina al +30%. Il valore assoluto derivante dallo Smartphone potrebbe avvicinarsi moltissimo a quello derivante dal mondo Desktop.

Il programmatic verso quota 500 

Il mercato del Programmatic advertising in Italia a fine 2017 vale 409 milioni di euro, con una crescita del 30% rispetto al 2016. L’incidenza sul totale del Display advertising passa dal 23% al 25%, mentre quella sul totale Internet advertising dal 13% al 15%. Una forte spinta proviene soprattutto dagli spazi Video, che sono stati venduti in maniera importante anche su queste piattaforme, e che valgono circa il 35% del mercato. Per il 2018, il Programmatic incrementerà sicuramente la propria raccolta, ma con un tasso più contenuto difficilmente superiore al +20%, e il valore complessivo di questo mercato sfiorerà i 500 milioni di euro. Le imprese che hanno accumulato maggior esperienza nell’implementazione di iniziative di data driven advertising, anche attraverso le piattaforme in programmatic, lamentano la presenza di potenziali asimmetrie informative all’interno della filiera nella gestione dei dati.

Il problema della trasparenza

“In generale, la rilevanza ormai assunta dagli investimenti in Internet advertising nei budget delle imprese rende sempre più importante l’adozione di iniziative volte a favorire la trasparenza della filiera del dato e della sua gestione (data transparency). Permane ancora oggi una netta divergenza in termini di percezioni sul livello di trasparenza tra investitori in advertising e operatori della filiera, in particolare riguardo a temi come viewability, ad fraud prevention e brand safety” ha dichiarato Nicola Spiller, Direttore dell’Osservatorio Internet Media. In un momento quindi particolarmente importante per l’evoluzione delle prospettive dell’Internet advertising, vi sono temi molto rilevanti che devono essere ancora indirizzati al meglio e che attualmente rappresentano un ostacolo alla creazione di standard e currency condivise a livello di mercato.

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