Il nuovo algoritmo consente di aumentare l’impatto dei messaggi pubblicitari display e propone un nuovo standard di misurazione della viewability, introducendo il Cost Per Hour. abbiamo parlato Di questa novità e dell’andamento del mercato con il Country Manager dell’azienda, Gaetano Polignano Vendere online è un po’ come organizzare una brigata di cucina, c’è l’addetto alle salse, l’addetto ai primi, chi si occupa di preparare i dolci e via dicendo. Le figure sono molte, così come i compiti da svolgere. L’importante è essere tutti uniti per raggiungere un unico risultato comune: soddisfare le esigenze del cliente. La storia è la stessa per le aziende che fanno ecommerce, anche se, invece di smanettare tra i fornelli si gioca con logistica, marketing e customer experience. In questi tre calderoni sono racchiuse tutta una serie di attività, tra cui ovviamente quelle di advertising. Tra le novità presentate in quest’ambito, Tradelab ha recentemente lanciato Brand Impact, un nuovo algoritmo di ottimizzazione della durata di esposizione pubblicitaria, che permette agli inserzionisti di gestire in modo più efficiente la durata di esposizione accumulata da un utente per il loro banner. Di conseguenza, può aiutarli a massimizzare la memorizzazione effettiva delle comunicazioni. Nei progetti della programmatic company, che sta vivendo un 2018 molto positivo, c’è anche quello di far evolvere lo standard di misurazione della viewability. Di questo e dell’andamento del business, ne ha parlato a Dcommerce Gaetano Polignano, Country Manager di Tradelab. Grazie al vostro nuovo algoritmo “Brand Impact” è possibile generare un significativo aumento dell’attrattività pubblicitaria attraverso la durata di esposizione cumulata di un utente. Come funziona? Brand Impact, il nostro algoritmo di controllo della durata di esposizione cumulata di un utente al banner visibile di un inserzionista, è rivolto soprattutto agli advertiser che desiderano lavorare sulla brand awareness. Per sviluppare questa soluzione ci siamo basati su alcuni studi che hanno dimostrato una relazione diretta tra la durata di esposizione a una pubblicità e la memorizzazione del messaggio del brand. Brand Impact permette all’inserzionista di impostare la durata d’esposizione per utente giudicata ottimale affinché il suo messaggio venga effettivamente memorizzato e ricordato. L’esposizione cumulata, in questo modo, permette al brand un migliore controllo della pressione pubblicitaria, permettendo di massimizzare il numero di utenti esposti alla sua campagna. Quindi, qual è il tempo di esposizione ottimale affinché si fissi il ricordo di un messaggio pubblicitario? Avete già ottenuto dei risultati misurabili su campagne erogate? Secondo i nostri studi, il tempo minimo di esposizione affinché si fissi un ricordo è di circa 25-30 secondi. Oltre quel tempo, la correlazione diviene inversa e mostrare ulteriormente il messaggio potrebbe risultare inutile, se non dannoso. È risaputo che una pubblicità troppo aggressiva ne distrugge il valore. Un caso esemplare è quello del retargeting degli utenti “caldi”, cioè quelli che hanno visitato una scheda prodotto o messo un prodotto nel carrello nelle ultime 24 ore e che potrebbe portare l’utente ad abbandonare l’acquisto. Parlando di risultati, Brand Impact ha permesso di raggiungere performance positive soprattutto sulle campagne dei nostri clienti del settore assicurativo e automotive e per un nostro cliente del settore gaming ha contribuito ad aumentare il tasso di visita del 28% e ridurre il CPH del 44%.[/vc_column_text][hcode_blockquote blockquote_icon=”1″ hcode_blockquote_heading=”Gaetano Polignano | Country Manager Tradelab “] Con il Brand Impact abbiamo introdotto anche un nuovo parametro di misurazione: il Cost per Hour. [/hcode_blockquote][vc_column_text]Brand impact introduce, infatti, un nuovo indicatore di performance, il Cost per Hour (CPH), di cosa si tratta e quali sono i vantaggi? Sì, esatto, con Brand Impact abbiamo introdotto anche un nuovo parametro di misurazione: il Cost per Hour. Ancora poco compreso nel nostro Paese, ma già diffuso in mercati più maturi all’estero, questo indice permette di andare oltre gli standard di visibilità passando a un criterio di durata di esposizione a un banner visibile. Il CPH ci permette di controllare e misurare l’efficacia delle campagne dei nostri clienti su un KPI comune: il CPCV (costo per utente esposto per un tempo cumulato X giudicato ottimale). Questo metodo di ottimizzazione e di misurazione permette di aumentare l’impatto delle campagne di branding e l’efficacia di ogni euro speso dall’inserzionista. Perché gli inserzionisti sono insoddisfatti rispetto agli standard esistenti come il CPM? Il CPH potrebbe essere un sostituto valido? Già da molto tempo notiamo un certo livello d’insoddisfazione da parte degli inserzionisti riguardo agli standard esistenti. Gli advertiser non hanno più fiducia nel modello dominante, il CPM, perché il valore di mercato delle impression non riflette un dato reale. Il CPH permette, invece, di rispondere alle continue richieste degli utenti e dei brand di avere una pubblicità più sostenibile. Passando al CPH, gli inserzionisti pagheranno da una parte solo per i banner realmente viewable e, dall’altra, il prezzo di ogni impression varierà in funzione del numero di secondi visibili. Questo modello si può definire “pay per real use” e migliorerà la fiducia degli advertiser nell’efficacia dei propri investimenti in digital. Quali sono le basi necessarie affinché il CPH diventi, effettivamente, uno standard di settore? Noi ci auguriamo che il CPH possa diventare presto il nuovo standard di settore. La logica del CPH aumenta la produttività dei media, portando a una riduzione effettiva dei budget e a un’ottimizzazione degli spazi utilizzati. Tuttavia, un cambiamento così profondo nel nostro settore non può avvenire dall’oggi al domani. È necessario che ci sia un allineamento degli interessi da parte di tutti player dell’ecosistema e, in primis, degli inserzionisti che devono incoraggiare l’intera filiera a proporre nuove regole del gioco. Quando Google ha sostituito la fatturazione a CPM con il CPC in Adwords (nel 2002) il motore di ricerca era già dominante nella maggior parte dei mercati occidentali, il che ha permesso di imporre rapidamente lo standard. Per quanto riguarda invece la display, l’ecosistema è molto più complesso e frammentato, il che porta a un rallentamento nella diffusione di questo tipo di iniziative. Il vostro algoritmo funziona per le campagne desktop. Per quanto riguarda il mobile, invece? Il nostro obiettivo è di rendere presto disponibile Brand Impact anche per il web mobile perché è un mondo che funziona sempre con i cookie. Il lavoro diventa un po’ più complicato in-app, ma stiamo cercando di trovare un modo per controllare la durata di esposizione cumulata in cross-device, sia per il traffico desktop, sia per quello da mobile e app. Chiudiamo con una domanda sull’attualità. L’introduzione del GDPR segna l’inizio di un importante periodo di cambiamenti per le aziende data driven, l’introduzione del GDPR. Cosa cambierà per il settore del programmatic? Quali sono le criticità e quali i vantaggi che Tradelab ha individuato in questo shift? Il settore del programmatic subisce un impatto diretto dal GDPR, soprattutto, per quanto riguarda l’estensione della definizione di dati personali. La nuova normativa stabilisce, infatti, che cookie e ID, i quali rappresentano la maggioranza dei dati utilizzati dal nostro ecosistema, siano ora considerati dati personali a tutti gli effetti. I dati costituiscono il carburante che alimenta il programmatic per fornire annunci mirati e rilevanti per gli utenti. Questo, è uno dei motivi per cui all’inizio del 2017 abbiamo condotto un audit approfondito insieme all’organismo europeo ePrivacyseal, incentrato sui nostri processi di raccolta, storage e condivisione dei dati degli utenti per assicurarne la conformità alle nuove direttive. Una delle principali sfide del settore consisterà nella suddivisione della responsabilità nella protezione dei dati. Il GDPR prevede, infatti, che la responsabilità venga condivisa vista la complessità nel nostro settore e la molteplicità degli interlocutori coinvolti. Il grande vantaggio conseguente all’introduzione del GDPR sarà, invece, quello di portare ad una omogeneità delle normative europee, facilitando la comprensione dei nostri obblighi. Ma, soprattutto, il GDPR porterà un maggiore livello di trasparenza al mercato digitale, oggi assolutamente necessario per stabilire nuove “regole del gioco” basate sul rispetto degli utenti.