Come ogni anno Casaleggio Associati ha proposto il report sulle condizioni e sulle evoluzioni del commercio digitale nel mondo. A seguire i principali dati emersi dalla ricerca con particolare riferimento all’Italia Ti accorgi che la storia della vendita online è diventata una cosa seria quando invece di aspettare il pacco da giù il fuorisede che studia a Milano preferisce fare la spesa da Cortilia che tanto la verdura è buona uguale. E l’ecommerce ormai è una cosa seria, serissima se si considera che lo scorso anno 1,79 miliardi di persone nel mondo hanno effettuato almeno un acquisto online (il 60,2% degli utilizzatori di Internet e il 26,8% della popolazione mondiale) per un valore di 2.290 miliardi di dollari, il 23,2% in più rispetto al 2016, pari al 10% del totale del valore delle vendite retail. Numeri da mal di testa che secondo il report “Worldwide Retail and Ecommerce Sales” di eMarketer sono destinati a salire fino al 2021, raggiungendo quota 16% nella penetrazione totale nel retail, per un valore pari a 4.479 miliardi di dollari. Al momento Cina e Stati Uniti continuano a essere i leader del mercato ecommerce globale, rappresentando il 69,1% della torta con un fatturato pari a 1.584 miliardi di dollari nel 2017, +18% rispetto al 2016. L’area Asia-Pacifico rimane il più grande mercato ecommerce mondiale, guidata dalla Cina che si conferma il più grande mercato ecommerce del mondo – il Paese produce da solo circa l’83% delle vendite dirette ecommerce dell’area Asia-Pacifico, per un valore stimato a circa 1.119 miliardi di dollari nel 2017. A seguire gli Stati Uniti che nel 2017 hanno fatturato 409 miliardi di dollari per le vendite dirette (+14% rispetto all’anno precedente). La leadership di Amazon e Alibaba Non a caso i due player più importanti del settore, Amazon e Alibaba, provengono da questi due Paesi: nel 2017 i due colossi hanno transato complessivamente 1,1 triliardi di dollari (CBinsights 2018). Oltre che sui mercati consolidati – Nord America e Europa per Amazon, Cina per Alibaba – la sfida si gioca tutta nell’area Asia-Pacifico, dove entrambi gli attori hanno aumentato gli investimenti strategici non solo rispetto all’online ma anche nel retail fisico, con un interesse particolare verso i settori di food e fashion. Negli ultimi due anni Alibaba ha investito circa 8 miliardi di dollari nel retail offline: dopo l’assorbimento di LAZADA, per un totale di 4 miliardi di investimenti, e del rivenditore online di generi alimentari Redmart nel sud est asiatico, in Cina il gruppo guidato da Jack Ma ha puntato tutto sul concetto di New Retail finanziando il Gruppo Sun Art Retail (RT-Mart e Auchan), il più grande operatore di supermercati e ipermercati locale, nonché sul delivery food di Ele.me, sulla catena di lusso di centri commerciali Intime e sull’indiana Zomato (Zomato raises $200 million from Alibaba’s Ant Financial, The News Minute 2018). Amazon invece, dopo l’acquisizione della catena di supermercati bio Whole Foods per 13,7 miliardi di dollari nel 2017 e di Souq.com (l’Amazon del Sud-Est Asiatico) e alla ricerca di un altro partner, questa volta internazionale, in ambito food su cui investire. Inoltre ha puntato sull’apertura di store fisici negli Stati Uniti e sta pianificando aperture anche in Germania. In India, al momento, non è andata come previsto e Walmart è riuscita ad aggiudicarsi l’acquisizione di Flipkart, il più importante ecommerce indiano. L’evoluzione dell’ecommerce europeo In Europa il valore dell’ecommerce è stimato a 602 miliardi di euro nel 2017, il 14% in più rispetto al 2016. Il numero di persone che effettua acquisti online nel vecchio continente e pari a 324 milioni (il 68% degli utenti internet europei) e il mercato online delle vendite al dettaglio è stimato 267 miliardi di euro nel 2017, in crescita del 10% rispetto al 2016. I Paesi dell’area che hanno visto crescere il mercato dell’ecommerce più velocemente negli ultimi cinque anni sono Olanda e Italia, e si prevede un’ulteriore crescita del 14% ogni anno fino al 2021. Il ticket medio europeo è pari a 826 euro per utente, spesa che prevede un aumento a 873 euro per il 2018 (Statista 2018). A dominare la scena europea dell’ecommerce Regno Unito, Germania e Francia che da sole generano il 70% del fatturato ecommerce europeo (European B2C Ecommerce Report, 2017). Gli aspetti normativi continuano a giocare un ruolo determinante nell’evoluzione del mercato europeo del commercio digitale, in particolare, nelle vendite internazionali. Dopo la normativa 2015 sull’applicazione dell’IVA del Paese di provenienza per la vendita di prodotti e servizi digitali, è stata di recente introdotta la EU VAT area, al fine di semplificare la gestione e ridurre i costi relativi alla vendita di prodotti cross-border all’interno dell’UE. Questa misura modificherebbe l’attuale procedura di registrazione dell’Iva in ogni Paese europeo a favore di un’unica registrazione e tassa da pagare direttamente all’UE e presuppone un risparmio per le aziende di circa 2,3 miliardi, nonché un aumento di introiti per gli stati membri di circa 7 miliardi. Queste regole entreranno in vigore nel 2019, altre nel 2021. Grande attenzione è ovviamente rivolta anche al tema della protezione dei dati e al GDPR, applicabile dallo scorso 25 maggio 2018. Contestualmente all’adozione della Brexit, si è poi legiferato contro il geoblocking relativo ai siti di ecommerce europei: gli acquirenti online avranno un accesso totale a prodotti e servizi cross-border, senza blocchi e senza essere ridirezionati su siti locali, a esclusione di alcune categorie merceologiche come i contenuti protetti da digital copyright, quali ebook, musica e giochi online. I clienti europei dovranno dunque essere trattati esattamente come i clienti nazionali; i beni dovranno essere spediti alle stesse condizioni di consegna del Paese di provenienza oppure dovrà essere fornito il servizio di ritiro presso un luogo concordato se il venditore prevede questa possibilità. Si intensificano anche le misure rivolte a semplificare i pagamenti: da inizio 2018 e con decorrenza da settembre 2019, le banche hanno l’obbligo di approvare i pagamenti effettuati da provider terzi (PSPs) che possono accedere agli account dei clienti attraverso open APIs. Inoltre, a tutela dei consumatori, non sarà più possibile far pagare ai consumatori additional fees per i pagamenti con carta di credito o di debito. Focus Italia Entrando nello specifico dell’ecommerce B2C italiano, i dati registrati durante il 2017 sono più che positivi. Il totale del fatturato generato ammonta a 35,1 miliardi di euro, crescendo complessivamente dell’11% rispetto al 2016. La crescita ha coinvolto tutti i settori merceologici anche se beni e servizi venduti online relativi alla categoria tempo libero e turismo continuano a rappresentare la quota più consistente del mercato, arrivando congiuntamente a generare il 70% del totale dell’ecommerce in Italia. I settori che sono cresciuti maggiormente in termini di fatturato sono salute e bellezza (+39%), moda (+28%), alimentare (+24%), elettronica di consumo (+21%), casa e arredamento (+19%), grazie agli investimenti degli operatori più grandi e a nuovi ingressi sul mercato. Il fatturato online di questi settori è tuttavia ancora modesto in termini assoluti e in proporzione agli altri settori (in tutti e cinque i casi e inferiore al 3%). Continua la crescita a due cifre dei vari marketplace online che si afferma come la terza categoria e in termini assoluti genera il 12% del fatturato. Si conferma il predominio dei grandi player internazionali, che diventano la prima meta per gli acquisti di molti consumatori, ma anche la crescita di player nazionali. Interessante anche la crescita nel settore dell’editoria, anche se più lentamente rispetto ad altri categorie, grazie soprattutto a servizi digitali e on demand come Spotify, Netflix e Infinity che hanno raggiunto una buona fetta di utenza. Il ruolo dell’ecommece cross-border in Italia Nel 2017 il fatturato ecommerce generato all’estero dalle aziende italiane è stato in media il 30% delle vendite online complessive, in lieve crescita rispetto al 29% del 2016. La percentuale di fatturato prodotta all’estero risulta però differente a seconda della strategia adottata. Per le aziende che fanno parte di gruppi multinazionali la percentuale e del 52%, mentre per quelle che dispongono di sedi all’estero è del 20%. Riguardo alle strategie messe in atto per l’ingresso sui mercati esteri, il 36% delle aziende italiane non ha una presenza fisica fuori dal Paese. Nonostante ciò l’80% si rivolge comunque ai clienti stranieri con un sito in più lingue. Come lo scorso anno, il 12% del campione vende unicamente attraverso il sito in lingua italiana. Il 5% opera con sedi o filiali all’estero (4% nel 2016) e il 16% fa parte di un gruppo multinazionale (12% nel 2016). Per lo sviluppo della vendita all’estero, le nazioni e aree verso le quali le aziende italiane intendono investire maggiormente nei prossimi 10 anni sono i vicini Paesi dell’Europa e, in secondo luogo, gli Stati Uniti. In particolare, la maggior parte delle aziende (53%) dichiara che investirà in Germania, il 49% in Francia, il 36% nel Regno Unito, il 29% in Spagna, mentre la percentuale di aziende che investirà negli USA è il 32%. Dopo gli Stati Uniti, il primo Paese extra europeo in cui le aziende italiane vogliono espandersi è la Cina, citata da 18% delle aziende. Marketing e logistica La promozione online del brand continua a essere un’attività critica per la maggior parte delle aziende ecommerce italiane. Le aziende soddisfatte dalle attività di promozione online sono il 31%, meno di un terzo del totale. Erano il 32% nel 2016 e il 39% nel 2015. Diminuiscono leggermente le aziende che dichiarano tale attività difficoltosa: il 54%, nel 2016 erano il 58% e nel 2015 il 53%. Continua ad aumentare la percentuale di aziende che valutano le attività di promozione online insoddisfacenti raggiungendo quota 14%, rispetto al 10% del 2016 e all’8% del 2015. Tra le operazioni di marketing, il keyword advertising raccoglie, come già rilevato in anni passati, la maggior parte degli investimenti (26%, come nel 2017). Le attività di social media marketing si posizionano al secondo posto con il 16% del budget (+2% rispetto al 2017), sorpassando le attività di SEO, alle quali viene destinato il 15% del budget (-4%). A parità d’investimento rispetto alla SEO rimane stabile l’email marketing con il 15% (+2% del 2017). In linea con l’anno precedente, la presenza sui siti comparatori riceve il 9% del budget di marketing, il 6% è destinato al Display advertising (banner), il 4% all’attivita di remarketing. I programmi di affiliazione, scorporati dai banner, ricevono il 2% e la stessa percentuale è destinata alle sponsorizzazioni e al programmatic advertising. Televisione, radio e stampa raccolgono complessivamente il 3% degli investimenti, un +1% rispetto al 2017. Secondo Casaleggio Associati il 54% delle aziende dichiara di aver adottato servizi di marketing automation nel corso del 2017. Rispetto agli ambiti, l’85% segnala di aver utilizzato servizi di marketing automation nell’Email marketing, il 41% rispetto alle Landing Page, il 37% per Marketing Analytics. Seguono con un 32% i servizi relativi al CRM e con il 30% i Social media. Il 17% li utilizza per il Campaign Management e il 15 per il Lead Management. Il 3% invece per il Contact prediction/Scoring. Tra gli obiettivi legati all’utilizzo di questa tecnologia, il 58% delle aziende dichiara di voler ottenere vantaggi legati alla misurazione dei risultati delle campagne e all’ottimizzazione del ROI. Il 44% vuole generare opportunità di upselling, il 40% individuare il Customer Lifecycle e progettare il Customer journey. Il 36% intende risparmiare tempo e il 29% aumentare la frequenza delle comunicazioni. Per quanto riguarda la logistica, il livello di soddisfazione delle aziende ecommerce italiane rispetto ai servizi di spedizione è peggiorato rispetto all’anno precedente. Il 36% degli esercenti giudica il servizio soddisfacente, ritenendo di aver raggiunto un ideale rapporto qualità/costi. Questo dato è in diminuzione del 19% rispetto all’anno precedente e aumenta proporzionalmente la percentuale delle aziende che lo giudica migliorabile (uno o più fornitori non sono all’altezza delle esigenze), raggiungendo quota 60%. Rimane invece stabile al 4% la percentuale di aziende che ritiene il servizio insoddisfacente e che cambierà uno o più fornitori a breve. Tra i servizi di spedizione il più utilizzato risulta essere Bartolini, seguito da DHL. Questa pazza omnicanalità Tutti i numeri appena elencati confermano come il retail tradizionale continui a essere influenzato in modo importante dall’ecommerce, anche e soprattutto nel cambio delle abitudini di acquisto dei consumatori. Nel corso del 2017 sono stati moltissimi i gruppi storici che hanno chiuso numerosi punti fisici e il settore più influenzato è indubbiamente quello del fashion. Nonostante ciò, molte aziende vedono prosperare e moltiplicarsi i propri shop fisici (il bilancio tra chiusure e aperture negli Stati Uniti e comunque a favore delle aperture con un risultato di +4.000 unità) e si assiste alla trasformazione del concetto di shop tradizionale e all’integrazione dei canali online e offline. La strategia omnicanale e cliente-centrica, insieme all’adozione della tecnologia, sembra essere il segreto per i brand che continuano a prosperare. Nel 2017 il 17% delle aziende intervistate in una survey condotta sempre da Casaleggio Associati dichiara di avere un alto livello di implementazione della strategia omnicanale. Il 37% ha iniziato a svilupparla, mentre il 12% ha pianificato di lanciarla nel corso del 2018. Solo il 10% ha dichiarato che per loro non è applicabile, mentre il 24% che non prevede di svilupparla. Le tipologie di dati che vengono elaborate per strutturare l’omnicanalita sono numerose. Si rileva che le aziende riescono a elaborare i dati relativi all’anagrafica (65% degli intervistati), il comportamento d’acquisto (61%), l’interazione con i canali proprietari – sito, social, call center, etc. (46%). Seguono al 31% l’interazione in negozio e con il programma fedeltà e al 26% la soddisfazione rispetto all’esperienza d’acquisto e rispetto al prodotto. I negozi fisici continuano e continueranno dunque a essere presenti, come parte dell’esperienza d’acquisto. In alcuni casi potranno fungere prevalentemente da “generatore di esperienza” o da showroom, per consentire al cliente di conoscere il prodotto, provarlo ed entrare in contatto con il brand. Andare in negozio sarà considerata sempre più un’esperienza paragonabile a quella di andare al cinema, invece di guardare il film a casa. Il consumatore si aspetta attività coinvolgenti, come gli eventi, nonché l’utilizzo di tecnologia, come ad esempio la realtà aumentata, per provare i capi solo virtualmente o ottenere suggerimenti per gli abbinamenti. Allo stesso modo dovranno trasformarsi gli acquisti in negozio: al cliente dovranno essere fornite le possibilità di effettuare l’acquisto in modo tradizionale, ma anche online tramite supporti digitali offerti dallo store o quelli dello stesso cliente. Anche la consegna dovrà evolvere, favorendo l’invio del prodotto a domicilio con consegna veloce, anche in giornata. Trend e numeri del mobile commerce Nel 2017 il 42% delle sessioni di ecommerce nel mondo è avvenuta via mobile e il 21% si e tramutata in una vendita diretta sul device. I pagamenti via mobile nel 2017 hanno raggiunto i 780 miliardi di dollari e per il 2019 si prevede che raggiungeranno i 1.000 miliardi. In particolare, per le aziende italiane di ecommerce nel 2017 la percentuale di fatturato mobile sul totale delle vendite online è stata in media del 28%. Questa percentuale è in continua crescita: nel 2012 le vendite mobile rappresentavano il 5% del totale, nel 2013 l’8,5% e il 13% nel 2014. Nel 2015 la percentuale rilevata era il 22% e nel 2016 del 26%. Dati che sottolineano come l’influenza dello smartphone sugli utenti in termini di ecommerce è sempre più massiccia, in quanto aumentano i clienti multichannel che navigano da device prima di scegliere cosa acquistare. Oltre alla ricerca di informazioni prima dell’acquisto, secondo Google il 42% degli utenti in-store fa ricerca sul mobile e lo stesso Google continua a promuovere l’utilizzo del mobile premiando con il suo algoritmo i siti mobile-friendly. Sul totale degli acquisti, si rileva che il 36% ha avuto almeno una sessione di ricerca via mobile. Proprio per questa ragione sono sempre di più i brand che fanno del mobile il device per eccellenza e puntano sullo sviluppo di app. Lo smartphone, insieme ai device vocali, e lo strumento che consente di intercettare i cosiddetti Micro Moments e di raggiungere gli utenti nel momento esatto in cui gli utenti vogliono sapere, andare, acquistare, fare. L’82% dei consumatori fa ricerche legate alla geolocalizzazione tramite mobile e questo aumenta le possibilità di conversione e lo sviluppo di tecnologie dedicate. Anche le tecnologie legate ai pagamenti via mobile sono in continua evoluzione, da Google Pay che ha unito il wallet di Google a Android Pay, a iOS che con uno degli ultimi aggiornamenti ha reso disponibile anche in Italia Apple Pay, a Samsung Pay, approdato in Italia nei primi mesi del 2018. In crescita anche il numero di aziende che nel 2017 hanno adottato soluzioni di messaggistica istantanea per dialogare con i propri clienti: il 69% afferma, ad esempio, che WhatsApp è parte integrante del customer care dell’azienda, mentre il 52% ritiene che contribuisca alla crescita del loro business. Percentuali in linea con gli usi da parte dei consumatori: il 48% degli shopper nel 2017 si è collegato con una chat di brand e segnala la chat come mezzo preferito rispetto a qualunque altro mezzo di comunicazione. Non a caso nel 2017 si è andata affermando l’esperienza consumatore-chatbot, grazie anche all’apertura ai bot da parte di WhatsApp, che ha aperto un canale di comunicazione tra le aziende a oltre un miliardo di utenti, seguendo l’esempio di Facebook Messenger, Snapchat o Telegram. I chatbot soddisfano le esigenze del One2One marketing, sono disponibili 7/24, forniscono contenuti mirati in base al comportamento d’acquisto e alle preferenze dell’utente nonché risposte automatizzate in base alle esigenze sfruttando applicazioni di messaggistica già molto diffuse tra gli utenti. Ricerca vocale e AI Nel 2017 gli assistenti virtuali come Alexa di Amazon, Siri di Apple, Google Now e Cortana di Microsoft hanno registrato un aumento del 23% nel loro utilizzo. 60,5 milioni di americani hanno usato un assistente virtuale almeno una volta al mese e i maggiori utilizzatori sono i millennials. Rispetto all’ecommerce emerge che gli assistenti vocali diventeranno il canale predominante di interazione con i consumatori. Nei prossimi tre anni il 40% degli utenti preferirà interagire con questa tecnologia che accedere a un sito web e chi già la utilizza dichiara che sarà disposto a spendere fino al 500% in più mediante l’utilizzo di assistenti vocali. Gli assistenti vocali consentono anche di accedere a informazioni relative ai negozi fisici, come avviene con Google Assistant, che ad esempio è in grado di segnalare dove trovare un prodotto in-stock presso un negozio fisico. Questa tecnologia diventerà sempre più in uso e verrà adottata come standard da diverse tipologie di brand. Solo negli USA, i device con comando vocale come Amazon Echo o Google Home hanno registrato nel 2017 un incremento di utilizzo del 129% rispetto all’anno precedente. A utilizzare gli speaker per effettuare acquisti sono soprattutto i clienti che sono fidelizzati ai brand. Acquistare nuovi prodotti tramite speaker infatti risulta ancora poco naturale, dal momento che non è possibile visualizzare il prodotto. A tal proposito i player si stanno attrezzando e, ad esempio, Echo ha una versione corredata da video, Echo Show, che consente di incrementare le vendite tramite device. Tra i plus rilevati dagli utenti rispetto a questa tecnologia c’e la facilita di utilizzo, la sicurezza trasmessa, nonché l’alto livello di engagement. I prezzi dei device sono diminuiti nel corso del 2017 e si prevede che diminuiranno ulteriormente , dando quindi accesso a un maggior numero di persone e favorendone la diffusione. Anche i retail credono fortemente in questa tecnologia, ad esempio da settembre 2017 Walmart ha stretto una partnership con Google per offrire ai propri clienti l’opzione voice shopping che consente di collegare il proprio account Walmart a Google Express e ordinare prodotti attraverso la tecnologia vocale di Google. Grazie a questa partnership Google ha molti più prodotti da proporre sulla piattaforma express. Domino’s Pizza, Pizza Hut e Starbucks vendono già tramite Alexa. Sephora consente di prenotare servizi di bellezza in store tramite Google Assistant. Anche i wearable devices ricoprono un ruolo importante rispetto all’ecommerce: nel corso del 2017 il numero di transazioni tramite wearable device in Europa è aumentato del 145%. Il 24% della popolazione si dichiara pronta a utilizzare i pagamenti contactless tramite wearable device, come ad esempio lo smartwatch. Questi oggetti forniscono una facilitazione per chi li utilizza grazie alla semplicità e velocità di utilizzo, nonché all’alto livello di sicurezza molto apprezzato dagli utenti. Tutte queste tecnologie consentono di raccogliere un’ampia gamma di dati di diversa tipologia e provenienti da diverse fonti che divengono una fonte di informazioni sul comportamento d’acquisto da cui apprendere. Molte aziende stanno implementando metodi di data analysis e predictive analysis, per comprendere le abitudini di acquisto, le preferenze e perfino gli acquisti futuri dei clienti, sulla base del comportamento di altri clienti con simili profili.